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Vivo o vita

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Nell’esplorare le possibili superfici di incontro tra l’azione umana e la complessità del vivente lo sguardo si può posare in una infinità di luoghi, dai pattern su oggetti di design alla ricerca della vita fuori dal pianeta Terra. Nei prossimi articoli, il nostro sguardo si poserà su una particolare categoria di costrutti tecnologici: i sistemi bioibridi.


(Nella foto è mostrata la barriera emato-encefalica su un chip. Il colorante blu mostra dove andrebbero le cellule cerebrali, e il colorante rosso mostra il percorso per la circolazione del sangue.)


I sistemi bioibridi fondono biologia e ingegneria per replicare le funzioni dei sistemi viventi o per sviluppare componenti con un comportamento simile alla vita, una migliore biocompatibilità e una migliore sostenibilità. Vengono disegnati e sviluppati per scopi industriali, clinici, ambientali ma anche di ricerca di base nell’ambito della robotica e della biologia.

In particolare, definendo questi sistemi come categoria a sé, si propone un quesito di non facile risoluzione: dove si colloca il confine tra componente artificiale e componente biologica?

La natura ibrida di queste entità incarna l’incontro tra due mondi che, quando tenuti distinti, riescono a definirsi l’uno dalla negazione dell’altro, ma quando si incontrano mettono in luce la non completezza di definizione delle loro pertinenze.

Ad esempio, volendo generalizzare, un sistema bioibrido è composto da una parte artificiale e da una naturale. La componente artificiale del sistema è direttamente contrapposta a quella naturale, in questa definizione, e si dice ottenuta con arte. Dove si ferma l’arte umana e dove inizia la natura, in un sistema bioibrido? Se l’uomo è un sistema biologico, sono l’arte umana e la tecnologia, di fatto, artificiali? E un sistema naturale impiegato con dovizia per svolgere una funzione tecnologica non è esso stesso artificiale?

Queste domande scaturiscono dall’incontro tra due mondi, che i sistemi bioibridi realizzano, e mettono in luce la portata limitata delle definizioni presenti nel nostro linguaggio. Volendo dare un nome alle cose, una strategia per costruire una definizione coerente, appropriata e completa di cosa compone il bioibrido è partire dalla definizione delle componenti isolate.

La componente artificiale ha spesso definizioni “in negativo”: tutto ciò che non è naturale, la riproduzione di qualcosa di naturale che però è realizzato dall’uomo, l’artefatto. Ricorre il tema del disegno umano del prodotto artificiale, dell’implementazione di un progetto deciso a priori, contrapposta al fluire incontrollato della natura.

Volendo definire cosa è naturale, invece, nel contesto dello studio della biologia ci troviamo a domandarci quale sia la definizione di sistema biologico. Questa domanda rimanda direttamente ad un interrogativo di vasta portata: cosa è la vita, e cosa è vivo? È interessante notare come questo interrogativo abbia preso forma nell’ambito della esobiologia, ramo della biologia che indaga sulle possibilità di vita extraterrestre. Per saper

riconoscere la vita fuori dall’ambiente in cui siamo soliti farne esperienza, è necessario definirla.

Nel 2010, S. Benner esplora questo interrogativo con l’articolo ​Defining Lifesulla rivista Astrobiology. Il primo punto da cui parte è il chiarimento della differenza tra le due definizioni: “vivo” e “vita”. Qualcosa che è vivo potrebbe non avere tutte le caratteristiche che sono necessarie a definire la vita. Ad esempio, una cellula della nostra pelle è viva, ma non è vita.

Benner cita uno dei tentativi di fornire una definizione universale della vita, quello di Koshland (2002): i sette pilastri della vita, o definizione “PICERAS”, dove PICERAS è un acronimo per ​programmazione, improvvisazione, compartimentazione, energia, rigenerazione, adattabilità ​e​ seclusione​.

Programma Un piano organizzato che descrive sia gli ingredienti stessi che le interazioni tra gli ingredienti, affinché il sistema vivente persista nel tempo. Nella vita naturale come è conosciuta sulla Terra, il programma opera attraverso i meccanismi degli acidi nucleici e degli amminoacidi, ma il concetto di programma può applicarsi ad altri meccanismi immaginati o non ancora scoperti.

Improvvisazione La capacità del sistema vivente di modificare il proprio programma in risposta al più ampio ambiente in cui esiste. Ad esempio, i processi evolutivi e il loro impatto sul genoma delle specie.

Compartimentazione La separazione degli spazi che compongono un sistema biologico che consentono di separare gli ambienti in cui processi chimici differenti hanno luogo. La compartimentazione è necessaria per creare un ambiente chimico protetto dall’esterno in cui le reazioni possano consumare e produrre sostanze chimiche nelle quantità giuste.

Energia Poiché i sistemi viventi necessariamente si muovono, e questo corrisponde ad un aumento di entropia, e ad un dispendio di energia, quest’ultima è necessaria perché un sistema vivente esista.

Rigenerazione La compensazione generale delle perdite e della degradazione dei vari componenti e processi del sistema: la perdita termodinamica nelle reazioni chimiche, l'usura delle componenti strutturali e il declino dovuto all’invecchiamento. I sistemi viventi sopperiscono a queste perdite importando molecole dall'ambiente esterno, sintetizzando nuove molecole e componenti, o dando vita a nuove generazioni di organismi.

Adattabilità La capacità di un sistema vivente di rispondere a bisogni, pericoli o cambiamenti. Si distingue dall'improvvisazione perché la risposta è tempestiva e non comporta un cambiamento del programma. L'adattabilità si verifica da un livello molecolare a un livello

comportamentale attraverso sistemi di reazione ad eventi nell’ambiente. Per esempio, un animale che vede un predatore potrebbe rispondere al pericolo con variazioni ormonali e un comportamento di fuga.

Seclusione La separazione dei percorsi chimici e la specificità dell'effetto delle molecole fà sì che i processi possano funzionare separatamente all'interno dello stesso sistema vivente. Negli organismi sulla Terra, ogni proteina ha una precisa conformazione strutturale, che è specifica per la sua funzione, in modo che possa agire in modo selettivo sui suoi bersagli senza influenzare le altre parti del sistema.

Queste sono le caratteristiche che secondo Koshland definiscono la vita. Tuttavia, secondo questa definizione, un coniglio considerato singolarmente non risulterebbe essere vita, anche se di per sé ha tutte le caratteristiche elencate. Risulterebbe vita, invece, una coppia di conigli in grado di riprodursi. Inoltre, l'elenco cattura le caratteristiche termodinamiche, genetiche, fisiologiche, metaboliche e cellulari della vita terreste che conosciamo. Tuttavia, non offre fondamenti teorici per sostenere che queste caratteristiche debbano essere generalizzate alle eventuali forme di vita che ancora non abbiamo osservato.

Altre definizioni di vita che tentano di offrire tali fondamenti teorici sono state proposte. Per esempio, nel 1994, Joyce ha riassunto la discussione di un comitato riunito dalla NASA, sotto suggerimento di Carl Sagan, in questi termini: ​la vita è un sistema chimico autosostenibile capace di evoluzione darwiniana.​

Il termine"sistema" sottolinea la nozione che, tornando alla distinzione citata sopra, le entità possono essere vive (una cellula, un virus o un singolo coniglio) senza che esse stesse esemplifichino individualmente la vita. L'espressione "autosufficiente" vuole sottointendere che un sistema vivente non necessita di intervento da parte di un'entità altra per continuare ad essere vita.

La teoria dell'evoluzione di Darwin raccoglie le sue osservazioni secondo cui gruppi di organismi di una stessa specie si evolvono gradualmente nel tempo attraverso il processo di selezione naturale. In questo contesto, l’espressione "evoluzione darwiniana" si riferisce al processo, elaborato a partire da questa teoria negli ultimi 150 anni. Questo si basa su un sistema genetico molecolare (DNA, nella vita terranea) che può essere replicato, talvolta in modo imperfetto. Gli errori derivanti da una replica imperfetta possono essere essi stessi replicati, e gli organismi che risultano dalla varietà di queste repliche sono adattati più o meno bene all’ambiente. A seconda del loro grado di adattamento la probabilità di passare l’informazione genetica alle generazioni successive cambia. E così, con i cicli generazionali, si evolve anche il patrimonio genetico di ciascuna specie, ricalcando i suoi cambiamenti e adattamenti all’ambiente.

In linea di principio, l’attuale tecnologia permette di modificare artificialmente il genoma della progenie: la nostra specie in questo modo può sorvolare e modificare i processi darwiniani. Come si adatta dunque il riferimento all’"evoluzione darwiniana" nella definizione teorica di Joyce? È sufficiente includere una modalità di evoluzione nuova: ​un sistema chimico autosostenibile capace di un'evoluzione darwiniana o sovra-darwiniana?​


Gli interrogativi sulla relazione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale, invece di dirimersi, si moltiplicano.

Nel 2019, Vitas e Dobovisek pubblicano l’articolo ​Towards a General Definition of Life p​er modificare ed estendere la definizione proposta dalla NASA del 1994: l​a vita è un sistema chimico lontano dall'equilibrio che si mantiene in equilibrio, in grado di elaborare, trasformare e accumulare le informazioni acquisite dall'ambiente​.

La novità in questa definizione è l’attenzione posta agli aspetti termodinamici dei sistemi viventi. La termodinamica è una branca della fisica che si occupa di calore, lavoro e temperatura, e della loro relazione con l'energia, la radiazione e le proprietà fisiche della materia. In pratica, gli autori definiscono la vita come sistema lontano dall'equilibrio.


Quando un sistema è in equilibrio, non ci sono flussi di materia o di energia, né al suo interno né con l’ambiente. Nei sistemi che si trovano, al contrario, in uno stato lontano dall’equilibrio ci sono flussi di materia o di energia. Questa definizione della vita tiene quindi in grande importanza il flusso di informazioni dall'ambiente al sistema vivente. La nuova definizione di vita proposta è indipendente da come l’informazione genetica si evolva, ed include quindi, di quella precedente, sia i processi darwiniani che quelli supra-darwiniani, risultando più facilmente estendibile ad altri processi, ora ignoti, di scambio di informazioni tra sistemi biologici e ambiente.

Secondo queste definizioni di ciò che è vivo e di ciò che è vita, un sistema bioibrido è vivo? È vita? Dove si colloca il confine tra la vita e l’artificio? A volte, uno dei modi migliori per esplorare questi quesiti è costruire il sistema in analisi. Nei prossimi articoli verranno raccontati diversi sistemi bioibridi, per continuare ad esplorare il confine sfumato e mobile tra quello che si dice e non si dice vita.



Roberta Bardini è una ricercatrice nell'ambito della biologia  computazionale e dei sistemi. Lavora attualmente presso il Sysbio Group,  Politecnico di Torino, dove ha conseguito il dottorato di ricerca. Si  occupa di sviluppo di organismi pluricellulari, e della loro valorizzazione in ambito imprenditoriale.
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